Il termine bullismo è un adattamento italiano del termine inglese “bullying”, che definisce i comportamenti violenti, fisici e psicologici, di tipo prevaricatorio e vessatorio attuati nei confronti di soggetti identificati dall’agente come deboli ed incapaci di difendersi.
Secondo Olweus (1996) “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”.
Le tre caratteristiche che distinguono il bullismo sono: l’intenzionalità, che implica la volontà deliberata di recare offesa; la sistematicità, che indica una continuità nel tempo delle azioni di sopraffazione; l’asimmetria di potere, che indica la presenza di differenze fisiche o psicologiche tra bullo e vittima, tali da definire due ruoli, quello del prepotente che sottomette e della vittima che subisce, spesso senza denunciare, per paura di ritorsioni del bullo.
Nella sua dimensione online, il bullismo diventa cyberbullismo, il quale, sfruttando la comunicazione digitale, l’anonimato, l’assenza di contatto fisico e l’immediatezza interattiva, aumenta esponenzialmente le conseguenze negative degli eventi.
In un inquadramento del disturbo di dipendenza da Internet e nella descrizione dei criteri diagnostici, Goldberg (1996), ha rilevato che il 23% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni sono stati vittime di cyberbullismo.
Essere vittime di episodi di bullismo da bambini è spiacevole nell’immediato, ma costituisce un fattore che aumenta il rischio di sviluppare diverse tipologie di disturbo oltre che nell’infanzia e nell’adolescenza anche nell’età adulta.
Ciò che numerosi studi hanno evidenziato è che le vittime di bullismo nel passaggio dall’adolescenza alla giovane età adulta continuano a presentare in misura rilevante disturbi quali agorafobia, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo da attacchi di panico, dipendenza, psicosi e depressione.